Tolkien and the Machine
(autoproduzione da materiale Public Domain)

The Machine. E’ noto come Tolkien avesse una vera idiosincrasia per la tecnologia e per la civiltà industriale in genere. In un passo di Concerning Hobbits, scrive degli “halflings”, per i quali ovviamente il professore simpatizza:

“[…] for they love peace and quiet and good tilled earth: a well-ordered and well-farmed countryside was their favourite haunt.They do not and did not understand or like machines more complicated than a forge-bellows, a water-mill, or a hand-loom, though they were skilful with tools.”

Gli hobbit sono il trasposto fantastico della gente della campagna inglese, con la sua ristrettezza di vedute, la sua semplicità, ma alla fine con la sua umanità. Un mondo che Tolkien considera una specie di piccolo paradiso di tranquillità e bellezza staccato dal mondo, abitato da “mezzi uomini”, quindi da gente che con l’umanità, con gli uomini interi, non ha e non vuole avere a che fare, che vive il suo isolamento proprio per mantenere e mantenersi in pace con se stessi e con la natura. Anche se, alla fine del libro, anche nella Shire la tecnologia, la modernizzazione demoniaca chiederà la sua parte, e a nulla sono valse le parole di Ted Sandyman, oltretutto diventato poi un servo di Saruman:

“It’s none of our concern what goes on beyond our borders; keep your nose out of trouble and no trouble will come to you!”.

E’ lapalissiano il parallelo tra la distruzione da parte di Saruman della terra degli hobbit e la distruzione della campagna inglese durante la rivoluzione industriale. Quindi, qualsiasi cosa più complicata del soffietto del fabbro, del mulino ad acqua o del telaio a mano non solo è malvista da Tolkien, ma addirittura il professore sembra insinuare che la tecnologia, il “craft”, corrompe non solo l’uomo, ma qualsiasi essere senziente. Se si guarda bene, nel “Legendarium”, dietro a molte importanti vicende dove è emerso il male, salta fuori una perizia artigianale o artistica (“tecnologica”) che ha sviato chi l’ha troppo coltivata. I casi sono molti.

Prendiamo il vala Aulë, corrispettivo tolkeniano del greco Efesto, il fabbro degli dei. Pur non ribellandosi a Eru Iluvatar, si rende colpevole di un atto di insubordinazione, se così si può dire, nei suoi confronti: non sa aspettare l’avvento dei “figli di Iluvatar” e, contravvenendo esplicitamente ai comandi di quello che si può bene identificare con il Dio giudaico-cristiano, “fabbrica” la stirpe dei nani. Poi si pente e non fa certo la fine di Melkor/Morgoth, ma comunque il suo gesto ha insinuato una certa ambiguità. Mentre gli altri valar sono in pratica custodi delle forze della natura, Aule è l’unico vala artigiano.

Ancora di più, i due maggiori antagonisti del bene in The Lord of the Rings sono proprio due maiar di Aulë: Sauron e Saruman. Il primo è, in quanto angelo decaduto, un demone, tutto teso al dominio; il secondo è un wizard, un mago. Sono loro le due torri di Barad-Dür e di Orthanc, e anche il simbolo della “torre” riporta a qualcosa che è costruito con perizia tecnica e che domina. Alla magia “bianca” di Gandalf si contrappone la magia “nera”, o meglio “multicolore”, di Saruman. Come dice Treebeard,

“He is plotting to become a Power. He has a mind of metal and wheels; and he does not care for growing things, except as far as they serve him for the moment”.

“Growing things”, che come viene mostrato anche da Sam nella versione estesa del primo film di Peter Jackson, sono profondamente amate invece dagli hobbit.

Il pericolo rappresentato dalle arti manuali, viste come arti magiche, non risparmia nemmeno gli elfi nonostante la loro superiorità morale, gettando su di loro almeno un velo di ambiguità. Feanor con la sua arte produce i Silmarilli, e la consapevolezza della sua bravura lo fa montare in superbia tanto da porsi contro i valar e disubbidire loro; per recuperare il sublime ma al tempo stesso fatale frutto del suo lavoro, Feanor arriva ad atti indegni di un elfo, molto più consoni agli uomini, tra tutti il fratricidio, provocando la maledizione e la rovina della sua casata. Anche Celebrimbor, l’elfo fabbro di Eregion, viene sviato dalla sua brama di conoscenza tanto da non accorgersi di essere stato ingannato da Sauron. Gli anelli, così come i Silmarilli, innescano intorno a loro un’interminabile serie di dolorose e cruente vicende. 

Noi tutti abbiamo l’opinione che la tecnologia sia moralmente neutra, e che la morale stia in come la si usa. Tolkien sembra invece insinuare che la tecnologia è intrinsecamente malvagia, con una sua propria capacità di corrompere chi la usa, proprio come l’Unico anello. Unico anello che è anch’esso un manufatto, e un manufatto malvagio e corruttore.

Ci si può domandare il perché di una posizione così categorica da parte di Tolkien. Facili spiegazioni di tipo storico-religioso, legate al suo fortissimo cattolicesimo di stampo ottocentesco, non sono affatto sbagliate, ma comunque non colgono pienamente nel segno. In una lettera a un amico del 1951, parlandogli dell’opera che stava con fatica portando avanti (mancano ancora tre anni alla prima pubblicazione di The Fellowship of the Ring), Tolkien gli spiegava che “all this stuff is mainly concerned with Fall, Mortality, and the Machine”. E continuava:

By the last I intend all use of external plans or devices (apparatus) instead of development of the inherent inner powers or talents – or even the use of these talents with the corrupted motive of dominating: bulldozing the real world, or coercing other wills. The Machine is our more obvious modern form though more closely related to Magic than is usually recognised. […] The Enemy in successive forms is always ‘naturally’ concerned with sheer Domination, and so the Lord of magic and machines”.

Da una parte, quindi, l’uso della tecnologia è un qualcosa di esteriore che va a detrimento dell’interiorità di ciascuno – e non può non venire in mente l’alternativa “essere o avere” di Erich Fromm. Dall’altra, la tecnologia è sempre legata a una volontà di dominio, sulla natura e sugli altri uomini. Si può certo accusare Tolkien di avere esagerato, ma non di avere delirato. A parte il fatto che questa posizione, per quanto possa sembrare gratuita, è comune a molti filosofi laici contemporanei – mi viene in mente Martin Heidegger, o qui in Italia Emanuele Severino e Umberto Galimberti – non si può perché bisogna considerare il momento storico che Tolkien ha vissuto. Tolkien ha vissuto sulla propria pelle la morte e la devastazione portate dalla tecnologia bellica durante la prima guerra mondiale. Ha potuto vedere anche la tecnologia bellica al lavoro durante la seconda guerra mondiale, combattuta dai suoi figli, con i bombardamenti della Luftwaffe. Inoltre, ai suoi tempi l’industria era tutto fuorché “green”: nel dicembre 1952 si ebbe il famoso “Great Smog of London”, con 4000 morti e 100.000 intossicati.

L’idea che la tecnologia (la “Macchina”) sia “a kind of magic”, era comune sia a Tolkien che al suo grande amico Clive Staples Lewis, l’autore delle Cronache di Narnia per intendersi. Lewis sosteneva che la scienza moderna ai suoi inizi era legata alla magia, e che solo successivamente si è emancipata dalle sue origini ambigue. Non ha tutti i torti: anche se noi oggi siamo abituati a pensare ai primi grandi uomini di scienza come a dei titanici Prometei che hanno rotto totalmente con un passato oscurantista, in verità essi erano profondamente legati al loro tempo. Keplero utilizzava per giustificare le sue scoperte spiegazioni che erano tutto fuorché scientifiche; Galileo si guadagnava da vivere facendo oroscopi; Bacone giocava a fare l’alchimista, e Isaac Newton perdeva la gran parte del suo tempo con cose che nulla avevano a che fare né con il calcolo infinitesimale, né con la gravitazione universale.

The world is changed”, dice Galadriel nella primissima battuta del primo film di Peter Jackson. Il mondo è cambiato, il vecchio mondo sta cadendo. Con la distruzione dell’Unico anello finisce l’era degli elfi e inizia l’era degli uomini. Il potere degli elfi era legato alla natura, e gli elfi se ne vanno a Valinor. Rimangono gli uomini. Tolkien immaginava che la concreta epoca attuale fosse l’ultima era del suo mondo, quasi un tentativo di riscrivere la storia dell’universo intero lasciando tra parentesi la scienza e recuperando il mito, l’esatto contrario di quanto ha fatto la civiltà occidentale negli ultimi quattrocento anni. “The time of the Elves is over”, dice Elrond a Gandalf, a Rivendell. Middle-Earth è in decadenza, e non solo e non tanto perché “a new power is rising”. Sauron e Saruman vogliono guidare la trasformazione a loro vantaggio; ma una trasformazione comunque ci sarà. Gli Elfi se ne vanno da queste spiagge, gli Elfi che sono connaturati a questo mondo e ne vivono le vicende – e per questo sono immortali. Gli Elfi che sono tutt’uno con la natura, che amano gli alberi tanto da insegnare loro a parlare: una forma di animismo naturalistico, verrebbe quasi da dire di religiosità celtica. Tolkien è magistrale nell’unire armoniosamente la tradizione giudaico-cristiana e quella pagana, greco-romana, germanica e celtica. Ma nella Quarta era, quella degli uomini, tutto questo scomparirà, gli alberi rimarranno solo alberi. E’ un processo di secolarizzazione, quello che porta al mondo degli uomini. E in effetti non vale più la pena, senza gli Elfi, di scrivere qualcosa che accada “dopo”; non può esserci “sequel” a The Lord of the Rings. Non sarebbe più fantasy, sarebbe un thriller.

Comunque sia, Saruman soprattutto incarna il volto demoniaco della tecnologia. “The machine”, dice Tolkien, e a un appassionato di musica viene subito in mente un brano di Wish You Were Here, uno dei migliori dischi dei Pink Floyd, intitolato Welcome to the Machine, con la sua musica pesante, angosciante e ossessiva, così allusiva del Moloch meccanico del film di Fritz Lang Metropolis. Anche il romanzo di Burroughs The Soft Machine che ha dato il nome a una delle band più sublimi del jazz-rock inglese. “The machine”, “la macchina”, al singolare. Dà un senso di ineluttablilità meccanicistica. Ma anche dopo la sconfitta di Sauron e la morte di Saruman, dopo che il bene ha trionfato sul male e lo splendore di Gondor e Arnor, eredi di Numenor, è restaurato, gli Elfi lasciano Middle-Earth e lasciano il mondo agli uomini. Un nuovo mondo degli uomini, secolarizzato, dove gli alberi sono solo alberi e non parlano più.

 

Alan Jacobs, Fall, Mortality, and the Machine: Tolkien and Technology, “The Atlantic”, July 27, 2012, https://www.theatlantic.com/technology/archive/2012/07/fall-mortality-and-the-machine-tolkien-and-technology/260412/

Richard Gunderman, Tolkien and the machine, “The Conversation”, January 6, 2015, https://theconversation.com/tolkien-and-the-machine-35826

Alexander Chavers, Isengard represented the Industrial Revolution: Because Tolkien hated technology, “Literally Literary”, July 1, 2017, https://medium.com/literally-literary/isengard-represented-the-industrial-revolution-because-tolkien-hated-technology-6ed05430ecce

Marc Brun Sánchez, Technology, Power and Ignorance: The sources of corruption in J. R. R. Tolkien’s The Lord of the Rings (pdf), https://addi.ehu.es/bitstream/handle/10810/30164/TFG_Brun.pdf?sequence=1&isAllowed=y