Apollo 11 LM
Lo stadio superiore dell'LM "Eagle" della missione Apollo 11 al ritorno dalla Luna, luglio 1969 (Public Domain via Pycril)

Manzonianamente, fu vera gloria? Visto quello che viene scritto su questo blog, la domanda non può che essere retorica e la risposta non può che essere scontata. Assolutamente sì, anche se dopo gli entusiasmi iniziali, passati più di cinquant’anni, le valutazioni non possono che essere più meditate, facendo notare non solo i punti di forza ma anche quelli che oggi è di moda definire “criticità”, vere o presunte. Disclaimer: l’argomento è vasto e si presta a svariate interpretazioni, per cui non pretendo né di essere stato esaustivo né che le mie considerazioni siano indiscutibili.

Gli obiettivi raggiunti

Vincere la “space race”

Qui occorre fare una piccola premessa storica sulla “space race” degli anni 1957-1969. Quando Korolev chiese a Khrushchev (scriviamo i nomi con la translitterazione inglese, più diffusa e più semplice) l’autorizzazione a mandare in orbita un satellite con il suo nuovo missile R-7 Semyorka, il segretario del PCUS non pensava che la cosa sarebbe stata una bomba atomica mediatica. Negli Stati Uniti la reazione fu addirittura isterica, come spesso succede in quel paese. Il motivo era chiaro, il satellite poteva essere stato lanciato solo da una versione di un missile militare intercontinentale: gli Stati Uniti non erano più protetti dagli oceani come era stato fino allora. Gli americani si autoflagellarono chiamando in causa qualsiasi cosa, dalle scelte politiche sugli armamenti al sistema educativo. Eisenhower, per coprire i programmi militari già in essere, come quelli per i missili Atlas e Polaris, e soprattutto il segretissimo programma Corona per un satellite-spia (e qui sarebbe da raccontare come proprio il programma Corona fu la causa della scelta di Eisenhower per il Vanguard), preferì fare il finto tonto, tanto era alla fine del secondo mandato e non poteva più essere rieletto. Come sempre negli USA, lo Sputnik fu usato come pretesto di polemica politica per le elezioni presidenziali e il neopresidente John Fitzgerald Kennedy, che ha legato il suo nome ad Apollo, parlò in campagna elettorale di un “missile gap” assolutamente inesistente. Dall’altra parte della barricata comunque anche Khrushcev si accorse di avere in mano un’arma di propaganda non da poco in un periodo nel quale, con la decolonizzazione, i nuovi stati del Terzo Mondo avrebbero dovuto scegliere da che parte stare.

Propaganda PCI Sputnik
(public domain)


Kennedy non era particolarmente legato allo spazio, ma nell’aprile del 1961, in carica da pochi mesi, dovette ingoiare due rospi come il primo volo umano di Yuri Gagarin e il fallimento dello sbarco anticastrista della Baia dei Porci. Politicamente occorreva reagire subito e infatti il 25 maggio 1961 ci fu il famoso discorso di Kennedy al Congresso, il cosiddetto “Moon Speech”.

Kennedy Moon Speech
John F. Kennedy pronuncia il suo famoso discorso alle camere del Congresso in seduta congiunta, 25 maggio 1961: “…I believe this nation should commit itself to achieving the goal, before this decade is out, of landing a man on the Moon and returning him safely to the Earth”. A sinistra, l’allora vicepresidente Lyndon B. Johnson, il cui nome è inevitabilmente legato al Vietnam (NASA, Public Domain via WikiCommons)..

Insomma, l’Apollo aveva come scopo principale quello di far vincere agli Stati Uniti la “space race”. Lo scopo era perciò politico, non scientifico, e anche se sarebbe errato sostenere che tutto si sia risolto nel semplice “piantare la bandiera prima dei russi”, è vero che politica e opinione pubblica americane al tempo concepivano Apollo in questo modo, come nel dialogo che all’interno del VAB Tom Hanks ha con il senatore nel film “Apollo 13” di Ron Howard. Questo obiettivo fu pienamente raggiunto: il sistema socialista sovietico non poteva più propagandarsi come superiore al sistema capitalistico americano.

Purtroppo in quegli stessi anni il capitale in “soft power” politico e tecnologico guadagnato con Apollo fu sperperato dall’amministrazione USA con la guerra del Vietnam, che fu un danno enorme sia a livello economico e sociale, sia a livello di immagine all’estero.

Il salto tecnologico

Questo è stato indubbiamente il più grande risultato di Apollo. Ingegneristicamente, il progresso tecnologico si è sempre sviluppato identificando un problema e cercando di risolverlo. Nella storia del XX secolo, esiste solo un altro “laboratorio” tecnologico che ha superato Apollo: la seconda guerra mondiale, e in particolare il “Progetto Manhattan” per la bomba atomica.

L’elenco delle tecnologie sviluppate per Apollo e poi entrate nella nostra vita di tutti i giorni è lunghissimo, e non è un caso che oggi la ricerca spaziale sia finanziata soprattutto avendo in mente le ricadute tecnologiche che produce. Tra le tante cose basti citare solo i circuiti integrati, le celle a combustibile, i display a cristalli liquidi. Il velcro invece non fu inventato per Apollo – fu brevettato nel 1955 – ma il suo utilizzo per le tute spaziali ne aumentò decisamente la popolarità. Riguardo ai microprocessori, ricordiamo che Federico Faggin, l’inventore del chip Intel 4004, emigrò negli USA per andare a lavorare alla Fairchild Semiconductors che ai tempi stava sviluppando il computer di guida dell’Apollo; da alcuni dipendenti della Fairchild Semiconductors ebbe origine la Intel. Per curiosità, il software del computer di guida fu realizzato direttamente in assembly.

Last but not least, non bisogna dimenticare che il programma Apollo fece fare passi avanti sostanziali alle tecniche di project management e di ricerca operativa oggi correntemente utilizzate nelle grandi aziende.

Il “keynesismo spaziale”

Abbiamo già parlato del “keynesismo tecnologico” del progetto Apollo, ma c’è stato anche un “keynesismo” vero legato ad Apollo. Il programma, secondo una stima, coinvolse 60.000 tra scienziati e ingegneri, 20.000 aziende e un totale di circa 400.000 lavoratori. Le malelingue sussurrano che causa Apollo nei decenni successivi la NASA è sempre stata surdimensionata, ma che il governo USA non l’ha mai voluta ridimensionare drasticamente o addirittura privatizzarla perché sarebbe uno shock occupazionale per alcuni stati americani (Florida, Texas), con conseguente perdita di potenziali elettori.

Il discorso d’addio di Eisenhower nel 1961 è passato alla storia come quello del “complesso militare-industriale”. Forse la storica diffidenza americana per gli apparati statali era stata più forte in Eisenhower perfino della sua sfolgorante carriera militare e del fatto che negli USA le lobbies sono una cosa naturale; fatto sta però che durante gli anni Cinquanta moltissimi soldi erano stati spesi per mandare avanti progetti militari costosi e discutibili, come il bombardiere a propulsione atomica. Kennedy nominò Segretario alla Difesa il presidente della Ford Motor Company, Robert Strange McNamara, con l’espresso compito di razionalizzare l’enorme bilancio per la difesa americano. McNamara si scontrò duramente con il Pentagono, a volte a ragione a volte a torto; quello che a noi interessa è che molte commesse all’industria aerospaziale, soprattutto quelle più ambiziose come il North American B-70 o il Boeing X-20, furono cancellate, e dovettero essere sostituite da qualcos’altro, non solo da un punto di vista meramente lavorativo ma soprattutto per non perdere know-how tecnologico. Apollo servì anche a questo.

X-20 Dyna Soar
Il Boeing X-20 “Dyna Soar” era un epigono del concetto di “bombardiere antipodale” di Eugen Sänger. La sua cancellazione, voluta da McNamara che ci vedeva un “doppione” della capsula Gemini (sic), secondo diversi ingegneri privò USAF e NASA di un’esperienza tecnologica che sarebbe stata fondamentale per il successivo Space Shuttle (NASA, Public Domain via WIkipedia).

I risultati scientifici

Da un punto di vista scientifico, i risultati, come ammise la stessa Margherita Hack nella sua prefazione al Libro dei Voli Spaziali di Giovanni Caprara del 1984, furono inferiori alle aspettative. La Hack scriveva che la Luna non si era rivelata quella “stele di Rosetta” che avrebbe dovuto farci comprendere il Sistema Solare.

Può suonare strano che un programma spaziale abbia avuto proprio i risultati scientifici quasi come fossero un sottoprodotto, innescando la polemica successiva secondo la quale un robusto programma di sonde automatiche sarebbe riuscito a ottenere gli stessi risultati a un costo decisamente minore. Argomentazione corretta se rapportata a un rapporto costi/benefici, scorretta se non si considerano i soldi: nessun programma di sonde automatiche, soprattutto con le tecnologie elettroniche e informatiche degli anni ‘60/’70, sarebbe riuscito a fare quello che hanno fatto le sei missioni Apollo. Inoltre è un’argomentazione miope: abbiamo già detto che lo scopo era prima di tutto politico, poi tecnologico, e solo in terza battuta scientifico. Inoltre, non occorre riflettere molto per capire che la presenza umana nello spazio ha senso solo se è permanente, cioè se gli esseri umani vanno nello spazio non per turismo ma per lavorarci. Se lo scopo è scattare foto e raccogliere dati per pochi giorni, una sonda automatica non ha rivali come costi e sicurezza.

Comunque risultati scientifici ce ne sono stati, e di tutto rispetto. Ogni missione poteva portare sulla Luna molti più strumenti scientifici e riportarne indietro molti più campioni minerali di quanto avrebbe potuto fare qualsiasi sonda automatica. In particolare è da citare l’ALSEP (Apollo Lunar Surface Experiments Package), un sistema integrato composto da sismografo, magnetometro, spettrometro, misuratore di ioni, misuratore del vento solare, misuratore della conduttività e del flusso di calore, rilevatore di polveri, e riflettore laser. I riflettori laser sono tuttora utilizzati, dopo decenni, per misurare in modo molto preciso la distanza Terra-Luna ricavandone dati sulla reciproca interazione gravitazionale che vengono utilizzati negli studi sulla relatività generale.

Apollo 12 Surveyor 3
Il comandante di Apollo 12 Pete Conrad vicino alla sonda Surveyor 3, novembre 1969 (NASA; Public Domain via Wikipedia).

Un esperimento accidentale molto citato in astrobiologia è quello dell’Apollo 12 che riportò sulla Terra la telecamera della sonda Surveyor 3 per studiare come i materiali terrestri resistevano in ambiente lunare. Con estremo stupore, si scoprì che alcuni batteri della famiglia degli streptococchi, che avevano accidentalmente contaminato la telecamera, erano sopravvissuti sotto forma di spore a più di due anni di vuoto cosmico.

Le critiche

– Congressman: “Now Jim, people in my state keep asking why we’re continuing to fund this program now that we’ve beaten the Russians to the moon.”
– Jim Lovell (Tom Hanks): “Imagine if Christopher Columbus had come back from the New World and no one returned in his footsteps.”
(da “Apollo 13” di Ron Howard)

Un passo più lungo della gamba?

Da un punto di vista tecnologico, fu un trionfo strepitoso, che però non ha aperto una nuova pagina del volo, ma si è rivelato un vicolo cieco. Ci sono molti aerei e affini che sono passati alla storia perché hanno rappresentato il vertice massimo della tecnologia del tempo, ma poiché sono andati oltre il punto d’equilibrio tra prestazioni, costi d’esercizio e sicurezza, invece di rappresentare il futuro sono rimasti dei gioielli unici senza seguito. Si possono fare molti nomi, come il Convair B-58 Hustler, il North American XB-70 Valkyrie, il Lockheed YF-12 Blackbird, il Concorde, lo Space Shuttle. Ancora oggi, il caccia/bombardiere trisonico, l’aereo di linea supersonico e l’aerospazioplano (quello vero, non mandato in orbita da un vettore tradizionale) rimangono ancora delle cose futuribili, e lo rimarranno finché i costi non saranno proporzionati ai benefici.

Concorde
L’indimenticabile BAC/Aerospatiale Concorde atterra per la prima volta all’aeroporto londinese di Heathrow, luglio 1972 (autore della foto Steve Fitzgerald, GNU License via Wikipedia).

Non bisogna mai dimenticare che durante il progetto Apollo la NASA fu estremamente fortunata. Gli incidenti maggiori furono solo due, di cui uno solo mortale (quello dell’Apollo 204 di Grissom White e Chaffee). Il salvataggio di Apollo 13 fu la “finest hour” della NASA citando Churchill, però in genere si fa poca attenzione al fatto che se il serbatoio di Apollo 13 fosse esploso non prima ma dopo l’allunaggio, i tre astronauti sarebbero inevitabilmente e tragicamente deceduti dopo un quarto d’ora. Richard Nixon, che mal sopportava Apollo, dopo l’incidente avrebbe voluto cancellare tutto, e ritornò sulla sua decisione solo quando gli fu fatto notare che in giro per il mondo avrebbero pensato che gli americani non erano più in grado di tornare sulla Luna. Così Nixon si accontentò di tagliare le ultime tre missioni e di far finire tutto con Apollo 17 nel dicembre 1972. Tanto per ribadire che per la Casa Bianca lo scopo vero era solo politico.

Apollo 13 SM
La famosa foto del “Service Module” di Apollo 13 con i danni causati dall’esplosione. La foto è stata scattata dal “Command Module” poco prima del rientro (NASA, Public Domain via WikiCommons).

Gli Stati Uniti volevano dimostrare al mondo di cosa erano capaci, e riuscirono a farlo in modo trionfale, ma era chiaro, a uno sguardo un po’ spassionato, che il passo era stato più lungo della gamba. La logica tecnologica avrebbe voluto che prima di tentare il salto verso la Luna ci si fosse fatti una robusta esperienza di presenza umana nello spazio in orbita bassa: non è un caso che dopo il 1972 entrambe le superpotenze siano tornate a pensare ai laboratori e alle stazioni spaziali orbitali, perché questo era un passo imprescindibile che non poteva essere saltato, così come la Luna è una tappa obbligata per chiunque sogni Marte, nonostante gli svarioni asteroidali di Obama. Dopo l’esperienza della ISS, tornare sulla Luna con Artemis, il nuovo programma lunare NASA, è certamente più facile. Grazie alle ormai centinaia di missioni in orbita bassa, le tecnologie sono maturate e sono molto più vicine, rispetto ad Apollo, al “punto triplo” prestazioni/costi/sicurezza di cui si diceva prima.

Artemis 1 SLS
Il razzo “super-heavy” SLS di Artemis 1, erede del mitico Saturn V (CC BY-NC 2.0 NASA via Flickr)

Questa è la spiegazione del perché, dopo le poche missioni degli anni 1969-1972, sulla Luna gli americani non ci sono più andati. Tecnologicamente, come si ama dire, Apollo era stato come “passare dal biplano dei fratelli Wright al Concorde in dieci anni”: un “giant leap for mankind” spropositato. Apollo era stato concepito per portare uomini sulla Luna, ma poco più; dopo le prime missioni di esplorazione, sarebbe stato necessario passare a una colonizzazione vera e propria, per la quale si sarebbe dovuta sviluppare da zero tutta la tecnologia, soprattutto occorreva aumentare la sicurezza visto che si sarebbe dovuti passare da un paio ad almeno cinque-sei missioni all’anno. Ma se lo scopo principale era la supremazia politica, non valeva la pena spenderci sopra, tenendo conto soprattutto che, saltati dal biplano dei Wright al Concorde, occorreva tornare indietro per fare il Douglas DC-3, cioè l’imprescindibile passo intermedio della base orbitale semipermanente con relativi voli orbitali da e per la stessa.

Saturn V
In un articolo su Apollo una bella foto del Saturn V non può mancare (CC BY-NC 2.0 NASA via Flickr).

Oggi le tecnologie sono più mature per una vera colonizzazione della Luna, ma la spinta per Artemis al solito è stata soprattutto politica. Finché gli USA sono rimasti l’unica superpotenza dopo il crollo dell’URSS, non ne valeva la pena. Dopo che Pechino ha manifestato l’intenzione di portare dei cinesi sulla Luna, guarda caso Washington ha deciso che era anche giunto il momento di farci tornare degli americani.

super heavy launchers
I lanciatori “super-heavy” messi in ordine di altezza. Anche la Cina ha il suo (CC BY-SA 4.0 Thorenn via Wikipedia).

Costo “astronomico”?

Al tempo l’immagine propagandistica di Apollo era quella del perfetto connubio tra sofisticazione e perfezione, basta leggere i libri divulgativi per ragazzi o gli articoli delle riviste dell’epoca. Le critiche iniziarono però già dopo pochi anni, sull’onda della crisi economica e della guerra del Vietnam. Al di là delle stupidaggini complottiste alla “Capricorn One”, le critiche si incentrarono tutte sul fatto, in pratica, che il rapporto costi/benefici era stato assurdamente sproporzionato. D’altra parte, che le missioni spaziali siano soldi buttati nel WC è un mantra che trova sempre cultori. Chi scrive non ha mai capito perché i soldi buttati invece di pensare alla fame nel mondo siano sempre quelli per la ricerca spaziale e mai quelli per le spese militari. Ma tant’è.

Lasciando volentieri a chi lo fa il semplicismo delle critiche eco-pacifiste di maniera, cerchiamo di porre il problema in modo giusto. A livello politico qualsiasi investimento, per quanto enorme, si fa pensando di ottenere un vantaggio superiore, e il progetto Apollo non ha fatto eccezione. Gli Stati Uniti spendono uno sproposito per il loro apparato militare, e nessuno si sogna di dire che sono soldi buttati. Il perché è semplice: la supremazia militare si traduce direttamente in supremazia internazionale e questa in supremazia economica. Un sano investimento. Quando al Congresso anni fa si voleva cancellare il James Webb Space Telescope, si diceva che ormai veniva a costare quasi come una portaerei nucleare. Chiaro segno di cosa per il Congresso è troppo “costoso” e cosa no, e di cosa è “utile” e cosa no.

Il mito dei costi “astronomici” è una cosa che oggettivamente non regge. Apollo è costato molto, è vero, ma non si può veramente avere un’idea corretta del suo costo se non lo si contestualizza con altre spese federali del governo americano. Ho già pubblicato questo grafico che ho tratto dal blog di Christopher Cooper (sperando nel fair use):

Spese federali USA
In dollari del 2008. No comment (Christopher R. Cooper, fair use).

Senza stare troppo sui numeri, visto che ciò che interessa sono i rapporti relativi tra le varie voci di spesa, si vede come il progetto Apollo sia costato meno di un quarto della guerra del Vietnam, e come il salvataggio delle banche (“bailout”) dopo la crisi Lehman Brothers del 2008, sia costato ai contribuenti americani un pelo più della guerra del Vietnam. Le guerre in Iraq e Afghanistan già nel 2008 erano costate uno sproposito, e non si erano ancora concluse. Viene da prendere quelli dei meme dell’acqua su Marte e chiedere loro dove stiano i veri sprechi. Oltretutto il programma Artemis dovrebbe essere come costi sull’ordine di grandezza di Apollo, costi oltretutto ripartiti tra diversi partners occidentali.

La considerazione triste è che, se si spendono così tanti soldi per due guerre, significa che questi soldi sono un guadagno per qualcuno. Forse l’economia americana si regge sul “keynesismo di guerra”? Il “keynesismo spaziale” sarebbe un’alternativa pacifica, ma ha il brutto guaio di non produrre supremazia politico-economica internazionale (come invece fanno le spese militari), e poi dove si pialla bisogna anche ricostruire, business non da poco. Insomma il vero problema a livello politico non è mai quanto spendi, ma quanto pensi di guadagnare da quello che spendi. A questo proposito, secondo una fonte ogni dollaro speso per Apollo ne avrebbe fatto guadagnare altri sette in ricadute tecnologiche.

Per la scienza “vera”, il gioco è valso la candela?

Cito a memoria. Quando il rover Sojourner fu portato su Marte da Mars Pathfinder, nel 1997, un italiano che lavorava al Jet Propulsion Laboratory, intervistato dal “Corriere”, alla domanda (scontatissima) quando sarebbero sbarcati esseri umani su Marte, rispose che era meglio investire i soldi della missione umana in centinaia di “film di successo” e che per la scienza “vera” erano “molto più utili i nostri robot”. Al di là di ciò che si può pensare di Elon Musk, l’affermazione non era frutto di una esternazione estemporanea, ma rifletteva un modo di pensare molto più radicato, che ha trovato cultori in passato anche in una rivista come “LeScienze”, sull’onda lunga di certe polemiche dei decenni passati sulla c.d. “big science”.

Già i sovietici, fatta di necessità virtù a causa del rovinoso fallimento del loro vettore lunare N1 (che tennero segreto per più di un decennio), sostennero mentendo spudoratamente che la corsa alla Luna era stata una corsa con un solo concorrente, che non valeva la pena spendere cifre astronomiche in missioni umane quando le loro sonde Luna avevano dimostrato che gli stessi risultati scientifici potevano essere ottenuti a costi molto minori e con nessun rischio per la vita umana.

N1 Baykonur
Il satellite-spia americano KH-8 Gambit fotografò il razzo lunare sovietico N1 sulla rampa di lancio a Baykonur il 19 settembre 1968. Il Pentagono sapeva tutto del fallimento sovietico ma gli americani all’epoca preferirono tacitamente confermare la versione sovietica. Che fosse esistito un razzo lunare sovietico il pubblico non addetto ai lavori lo seppe nei primi anni Ottanta, quando comparirono dei disegni, molto di fantasia, di un G-1-e “Super Booster” che del razzo vero conservava solamente la forma tronco-conica e il numero spropositato di motori del primo stadio. Per avere informazioni più dettagliate bisognò aspettare la “glasnost” gorbacioviana (USAF, Public Domain via Wikipedia).

Ma ci furono molte critiche nei decenni successivi all’interno della stessa NASA, dovute al fatto che il budget dell’agenzia era drenato dai programmi spaziali con equipaggio a tutto scapito delle missioni automatiche, i cui risultati scientifici erano maggiori con minori costi. Il JPL di Pasadena, il centro per le missioni interplanetarie automatiche, fu particolarmente polemico soprattutto nei confronti del successivo Space Shuttle. Al JPL lavorò per decenni il grande James Van Allen, che per tutta la vita fu un critico feroce delle missioni spaziali umane, ritenendo che lo spazio andasse esplorato con satelliti e sonde robotizzate.

James Van Allen Explorer I
James Van Allen solleva un modello del primo satellite americano, Explorer 1, alla conferenza stampa seguita alla riuscita della messa in orbita, il 31 gennaio 1958. A sinistra di Van Allen William H. Pickering, direttore del JPL, e alla sua destra Wernher von Braun, responsabile del vettore Juno I (versione orbitale dello Jupiter-C; NASA, Public Domain).

A proposito va notato che missioni spaziali automatiche e missioni umane rispondono a logiche diverse. Le prime sono destinate all’esplorazione del sistema solare e all’osservazione del cosmo in generale; le seconde sono destinate alla colonizzazione dello spazio circumterrestre e lunare. Le prime danno risultati tangibili immediatamente, le altre in prospettiva.

Tornare sulla Luna, al di là delle considerazioni di carattere politico-militare, può aprire in un futuro non troppo vicino molte nuove opportunità. La bassa gravità lunare permette di avere i vantaggi del peso senza averne gli svantaggi. Ad esempio, un cantiere spaziale sulla Luna sarebbe in grado di costruire, grazie ai materiali ricavati in loco, astronavi robotizzate da poter poi lanciare a costi molto più bassi visto che la velocità di fuga lunare è di 2,3 km/s contro gli 11,2 km/s della Terra. Il costo per questo cantiere spaziale lunare sarebbe all’inizio spropositato, ma poi tenderebbe ad ammortizzarsi se per qualche motivo i lanci fossero molto frequenti, magari perché si è trovato un valido motivo per tenere basi interplanetarie permanenti (vengono subito in mente i vecchi “cilindri di O’Neill di Gundam). Un altro motivo, squisitamente scientifico, è che la faccia nascosta della Luna è una vera terra promessa per gli osservatori astrofisici. Si potrebbero costruire radiotelescopi enormi totalmente esenti dall’inquinamento elettromagnetico, dato che è schermata dalle emissioni elettromagnetiche terrestri. Se tutti si aspettano mirabilia dal JWST, pensiamo solo a cosa potrebbe fare un grande telescopio di tipo terrestre sulla Luna, senza atmosfera e con una gravità che permetterebbe a una struttura di essere enorme senza collassare. Il valore scientifico di tornare sulla Luna non lo si può vedere subito, ma solo in prospettiva. Cristoforo Colombo non avrebbe mai potuto immaginare che il suo viaggio avrebbe portato agli Stati Uniti del XX secolo.

Cilindro di O'Neill
Gerard K. O’Neill è stato un fisico americano che divenne noto negli anni Settanta per aver proposto i “cilindri” che da lui presero il nome, in pratica delle enormi colonie spaziali famose soprattutto per la loro apparizione nell’anime “Gundam”. Le strutture spaziali che potrebbero venire lanciate dalla Luna ovviamente sarebbero molto meno ambiziose (NASA, Public Domain).

Personalmente dubito che esseri umani andranno molto oltre la Luna o al massimo Marte in un futuro prevedibile. Più ci si allontana dallo spazio vicino, più uscire dalla “culla” diventa problematico, e costoso. Con le tecnologie attuali, non possiamo permetterci nulla più che gattonare un po’ all’interno del box. Ma quali saranno le tecnologie spaziali “adulte” che ci permetteranno di camminare e magari correre su due gambe tra qui a qualche secolo, e se ci saranno, oggi non lo possiamo sapere.

https://spinoff.nasa.gov/pdf/Apollo_Flyer.pdf
https://christopherrcooper.com/apollo-program-cost-return-investment/
https://reason.com/2022/04/26/the-1-7-trillion-f-35-fighter-jet-program-is-about-to-get-more-expensive/
Mario Cianflone, Luna 50 anni, dall’elettronica alle auto le ricadute tecnologiche di Apollo 11, “Il Sole 24 Ore”, 18 luglio 2019 https://www.ilsole24ore.com/art/la-ricaduta-apollo-terra-tecnologie-che-luna-ci-ha-regalato-AC8oxaZ
https://airandspace.si.edu/stories/editorial/apollo-guidance-computer-and-first-silicon-chips
https://www.focus.it/tecnologia/innovazione/8-tecnologie-evolute-con-la-conquista-della-luna
https://airandspace.si.edu/tools-and-technology-apollo-program
https://www.ansa.it/scienza/notizie/rubriche/spazioastro/2016/07/14/pubblicato-il-codice-di-programmazione-di-apollo-11_01144889-74b5-4c0a-95da-d6e44ec18490.html