
Contestualizzazione storica
A metà anni Cinquanta il deterrente nucleare americano, che aveva assunto un’importanza fondamentale nelle teorie strategiche della presidenza Eisenhower, era gestito quasi esclusivamente dallo Strategic Air Command dell’U.S. Air Force, comandato dal 1948 al 1957 dal ben noto generale Curtis LeMay, douhettiano di ferro convinto assertore dei grandi bombardieri strategici. Icona di questo periodo della Guerra Fredda è certamente il Convair B-36 “Peacemaker”, armato con le mostruose (in tutti i sensi) bombe termonucleari Mk17 / Mk 24, pesanti più di 18 tonnellate e una potenza distruttiva tra gli 11 e i 15 megatoni.

Lo sviluppo del SAC era conseguenza naturale della politica detta “new look” voluta dal presidente Eisenhower, che dette origine alla nota dottrina strategica della “rappresaglia massiccia”. Per inciso, com’è noto, fu la sua contrarietà alla nuova politica che costò a Robert Oppenheimer la ferocissima ostilità dell’establishment politico-militare ben rappresentato dal suo persecutore Lewis L. Strauss che si prese l’incombenza di toglierlo di mezzo, in quanto troppo famoso e perciò troppo scomodo. Parlare della Guerra Fredda negli anni Cinquanta ci porterebbe troppo lontano, ma è interessante far notare che Eisenhower volle il “new look” in quanto da buon conservatore era molto attento alla spesa pubblica e il “contenimento” dell’Unione Sovietica tramite soprattutto armi convenzionali sarebbe stato molto più costoso rispetto allo sviluppare un poderoso armamento nucleare, per quanto questo a prima vista possa sembrare controintuitivo. Senza dimenticare che si era allora appena usciti da un sanguinoso conflitto convenzionale di “contenimento”, la guerra di Corea.

Ovviamente il ruolo principale tenuto dall’USAF e all’interno di questa dal SAC era molto mal sopportato dalle altre due forze armate. Partecipare al deterrente nucleare strategico era sia per la Marina che per l’Esercito una questione di vitale importanza per accaparrarsi una più larga fetta della grossa torta rappresentata dagli stanziamenti per la difesa. Mentre l’US Army si dedicava soprattutto ai missili superficie-superficie con la sua ABMA (Army Ballistic Missile Agency) diretta da Wernher von Braun, la Marina prima cercò in tutti i modi di dotarsi di bombardieri nucleari basati su portaerei (con i vari AJ Savage, A3D Skywarrior e A3J Vigilante), e poi trovò la sua strada nel 1956 iniziando il programma “Polaris” per un missile strategico (SLBM) lanciabile da sottomarini atomici (SSBN). All’epoca l’USAF aveva già i suoi programmi per missili strategici, primo tra tutti il programma “Atlas”, ma i bombardieri rimanevano comunque per l’USAF l’arma strategica per eccellenza.
I sovietici d’altro canto, sapendo che mai sarebbero riusciti ad uguagliare la flotta di bombardieri strategici americana (nonostante le favole di quegli anni su un presunto “bomber gap”), si orientarono piuttosto presto nella direzione dei missili intercontinentali. Il risultato è noto: l’R-7 Semerka di Sergej Korolev, il primo ICBM al mondo ad essere testato, anche se sulla sua reale operatività molto ci sarebbe da discutere (riuscì decisamente meglio come vettore spaziale, ma la stessa cosa fu anche per la prima generazione di missili statunitensi, segnatamente Thor, Atlas e Titan). Nel 1957 scoppiò la “bomba” dello Sputnik, che creò negli Stati Uniti un clima di isteria collettiva.
L’USAF si trovò improvvisamente con un’enorme flotta di bombardieri strategici, armati con bombe a caduta libera, potenzialmente obsoleta. Dico potenzialmente perché gli ICBM erano chiaramente il futuro, ma alla fine degli anni Cinquanta erano tutto fuorché un “sistema d’arma” maturo e operativo, per cui i grandi bombardieri conserveranno ancora per diversi anni un ruolo principale. Si poneva comunque come urgente il problema di trovare loro nuove armi che li rendessero ancora validi, e queste armi non potevano essere che armi “stand-off”, ovvero in grado di essere lanciate a distanza di sicurezza dalle difese aeree avversarie. Più precisamente queste armi “stand-off” potevano essere essenzialmente o missili da crociera, oppure missili balistici aviolanciati.

Per quanto riguarda i missili da crociera, il maggior sforzo fu quello che portò in pochi anni al North American GAM-77 (poi AGM-68) Hound Dog, che attinse all’esperienza che la ditta si era fatta col grosso missile da crociera SM-64 Navaho cancellato nel 1957 a fronte della chiara superiorità dei missili balistici. L’Hound Dog era essenzialmente un Navaho di dimensioni ridotte propulso da un singolo turbogetto. Lo sviluppo del missile iniziò nel 1958 e fu completato nel giro di due anni e mezzo: i primi esemplari operativi furono consegnati nel luglio 1960 e nel novembre dello stesso anno il primo Wing di B-52 divenne operativo con gli Hound Dog. L’AGM-68 era però considerato dall’USAF solo un “gap filler” in attesa di un missile più avanzato, il Douglas GAM-87 (AGM-48) Skybolt, che non era un missile da crociera bensì un ALBM (Air-Launched Ballistic Missile). Il Pentagono calcolò infatti che la migliore combinazione tra profilo di volo e massa della testata bellica sarebbe stata quella di un missile balistico aviolanciato.

La necessità di nuove armi per i B-52 fu ancor più aggravata dall’abbattimento del Lockheed U-2C del maggiore Francis Gary Powers nei cieli sovietici sopra Sverdlovsk il 1° maggio 1960. Il SAM (missile antiaereo) responsabile dell’abbattimento era un S-75 Dvina (SA-2 Guideline per DoD/NATO), chiaramente sviluppato per intercettare i B-52 americani ad alta quota. A quel punto si rese necessario non solo lo sviluppo di nuove armi “stand-off”, ma anche la modifica radicale dei profili di volo per i bombardieri, passando dalla penetrazione ad alta quota a quella a bassa quota. Digressione: i B-52 incontrarono effettivamente i SA-2 durante la campagna di bombardamenti Linebacker II del dicembre 1972. Ovviamente parlarne qui sarebbe comunque del tutto “off-topic”.
Weapons System 199 (WS-199)
Ancor prima dello Sputnik, pressata dal programma “Polaris” della Marina, l’USAF lanciò un programma sperimentale che investigasse tutte le possibilità di dotare i bombardieri strategici di armi più avanzate delle semplici bombe a caduta libera. Il perché l’USAF sentisse come un pericolo il Polaris è chiaro: l’accoppiata SSBN/SLBM era già in teoria l’ultima parola in fatto di deterrente, per il semplice fatto che un sottomarino è una base mobile e nascosta per un missile, mentre gli ICBM sarebbero stati lanciati da silos fissi e i bombardieri comunque dovevano partire da aeroporti altrettanto fissi (da cui l’idea di LeMay dell’allerta in volo h24, come si vede nel film “Fail Safe” di Sydney Lumet). Come si dice in gergo, il deterrente strategico USAF era molto più esposto a un eventuale “first strike” sovietico. Il Polaris A1 aveva ancora un raggio d’azione limitato, ma era chiaro che con il progresso delle tecnologie gli SLBM avrebbero potuto raggiungere gittate comparabili con quelle degli ICBM basati a terra, rendendoli obsoleti. Cosa in effetti successa decenni dopo con i Trident D5. Digressione: per i russi gli ICBM sono ancora l’arma strategica principale perché, montati su grossi TEL a ruote, possono spostarsi nascosti nella taiga come fosse un mare, mentre gli Stati Uniti, essendo una talassocrazia, hanno un controllo molto maggiore delle profondità marine.
Grazie al suo lancio da parte di un aereo, a parità di carico bellico il missile avrebbe potuto essere di dimensioni più contenute rispetto a un missile balistico lanciato da terra, senza contare che la posizione di lancio sarebbe stata mobile, il che significava una maggiore flessibilità operativa rispetto a grossi ICBM conservati in postazioni fisse in silos, più vulnerabili a un eventuale attacco.
Riguardo alle armi antisatellite, c’è una premessa tecnica da fare. Ci sono infatti due sistemi di intercettare un satellite da parte di un’arma ASAT: uno è il sistema di avvicinamento “co-orbitale”, nel quale il veicolo intercettore è posto in un’orbita incidente con quella del bersaglio, ed è perciò un satellite a sua volta a tutti gli effetti; l’altro è quello della c.d. “direct ascent” (“ascesa diretta”), nel quale il veicolo intercettore compie una traiettoria a parabola suborbitale molto ripida che lo porta alla quota giusta e al momento giusto per l’intercettazione. Questo sistema è più semplice soprattutto perché il missile vettore non ha bisogno di raggiungere velocità orbitali (±7,8 km/s, o Mach 25+, per quanto possa essere corretto parlare di numero di Mach in questo caso), ma può accontentarsi di raggiungere una velocità di circa 6-10 Mach, con tutto quello che ciò significa come risparmio di propellente e perciò di complessità e costi del razzo vettore. Un esempio di intercettore orbitale era quello previsto dal “Progetto SAINT”, che prevedeva un vettore spaziale Atlas-Agena o addirittura, in una delle sue successive incarnazioni, un Atlas-Centaur (utilizzato anni dopo, con un piccolo stadio aggiuntivo TE364-4, per i lanci delle sonde interplanetarie Pioneer 10 e 11, quindi certo non un “giocattolo”). Non c’è da stupirsi che un sistema simile fosse proibitivo, soprattutto come costi, ma anche come tempi di reazione.
Sia come ALBM che come intercettori antisatellite, i missili qui considerati non richiedevano il raggiungimento di velocità orbitali; in particolare, l’intercettore antisatellite avrebbe raggiunto la quota del satellite bersaglio con una traiettoria parabolica. Com’era moda al tempo, la distruzione del satellite sarebbe stata ottenuta con una piccola testata nucleare, il che avrebbe semplificato le cose non essendo necessario entrare in una perfetta rotta di collisione, ma solamente facendo in modo che la testata esplodesse in prossimità del bersaglio (lasciamo stare l’effetto EMP, che proprio in quegli anni veniva scoperto grazie ai test “Starfish Prime” e “Argus”).
I tre progetti portati avanti come WS-199 furono il WS-199B “Bold Orion”, il WS-199C “High Virgo” e il WS-199D “Alpha Draco”; i primi due dovevano sperimentare le tecnologie per un ALBM, mentre l’ultimo era un missile balistico lanciato da terra che aveva lo scopo di sperimentare le tecniche di rientro in atmosfera, in particolare quella “boost-glide”, ossia in parole povere la tecnica di “spiattellare” sugli strati superiori dell’atmosfera in modo da ridurre il surriscaldamento tipico di un normale rientro balistico. La designazione mancante, WS-199A, fu utilizzata per dare un nome agli studi di massima fatti dallo Strategic Air Command nell’ambito del programma. L’Alpha Draco, nonostante sia stato importante per i primi studi sul rientro atmosferico e sul concetto di “lifting body”, era lanciato da terra e non fu utilizzato per test antisatellite; perciò non fa parte dei missili trattati nel presente articolo. Così come non fa parte dei missili trattati il poderoso “Nike-Zeus” dell’U.S. Army (che gestiva i vari missili antiaerei e antimissile della serie “Nike”), che nel maggio 1963 distrusse un satellite con una carica nucleare, o il “Program 437” basato sull’IRBM Thor. Tutte piste di indagine molto interessanti, che sarebbe estremamente interessante affrontare.

Sia il Bold Orion che il simile High Virgo furono provati all’Eastern Range, ossia la zona di lancio in Florida che comprende sia le installazioni dell’USAF attorno a Cape Canaveral sia il Kennedy Space Center della NASA. In particolare fu utilizzata la “Atlantic Missile Range Drop Zone” (AMR DZ), una vasta area prefissata dell’Oceano Atlantico dove venivano fatti impattare alla fine della loro traiettoria i missili sperimentali, aviolanciati e non.
Martin WS-199B Bold Orion
La Martin stipulò nel 1958 un contratto con l’USAF per uno studio di fattibilità su un ALBM, e da questo nacque il Bold Orion. Sia per ragioni economiche che per minimizzare i tempi di sviluppo, il Bold Orion fu realizzato a partire dal motore a propellente solido Thiokol TX-20 del missile tattico Sergeant, utilizzatissimo in quegli anni per le sue prestazioni molto brillanti. Il Thiokol TX-20, motore a razzo a propellente solido, aveva una lunghezza di circa 4,5 m (secondo altre fonti 5,9 m) e un diametro di circa 79 cm. La spinta sviluppata era di circa 222 kN per un tempo di combustione di 29 secondi. La massa del motore era di circa 3.500 kg. Il Bold Orion aveva una lunghezza di 11.30 m e un diametro di 0,79 m. L’apogeo della sua traiettoria si aveva a circa 200 km di altezza. Con il secondo stadio Altair il Bold Orion avrebbe potuto operare come ALBM con un raggio d’azione di circa 1600 km. I primi lanci furono insoddisfacenti, così più avanti fu aggiunto come secondo stadio un Altair, razzo sviluppato per lo sfortunato vettore Vanguard che fu utilizzato poi anche nello Scout e in alcune delle prime versioni dei vettori Atlas e Thor-Delta. Come bistadio, il Bold Orion raggiungeva una gittata di 1.770 km e un’altezza al vertice della parabola di più di 200 km.

Il primo lancio da un B-47 Stratojet si ebbe il 26 maggio 1958 per un totale di 12 lanci, l’ultimo il 13 ottobre 1959. L’esperienza tecnologica fatta con il Bold Orion fu trasferita allo sviluppo dello WS-138A, poi conosciuto come GAM-87/AGM-48 Skybolt. I lanci furono in totale dodici, dal 26 maggio 1958 al 13 ottobre 1959.

Il lancio finale del Bold Orion, il 13 ottobre 1959, fu quello della storica prova antisatellite, la prima americana. Come bersaglio fu designato il satellite Explorer 6, che era stato lanciato da Cape Canaveral il 7 agosto 1959 con un vettore Thor-Able, e fu dichiarato perduto il 9 ottobre a causa dell’esaurimento delle batterie di bordo. Il B-47B Stratojet che fungeva da piattaforma di lancio sganciò il missile a una quota di 10.700 m, e il missile si diresse autonomamente verso il perigeo del suo bersaglio, passandogli accanto a circa 6,4 km di distanza all’altitudine di 251 km. Per registrare la sua traiettoria il Bold Orion poteva trasmettere dati in telemetria a terra, eiettando anche delle flares per facilitare il tracking ottico che coadiuvava quello via radar.

Se il Bold Orion fosse stato dotato di una piccola testata nucleare, avrebbe di sicuro distrutto l’Explorer. Ai tempi c’era la moda della testata nucleare perfino per i missili antiaerei (come l’AIR-2 Genie dell’USAF), ma come fu presto chiaro utilizzare esplosioni atomiche nello spazio avrebbe comportato danni collaterali spropositati (come fu evidenziato dal test “Starfish Prime”).

Secondo una fonte (RID), il programma sarebbe stato sospeso perché «l’Amministrazione Eisenhower, contraria alla militarizzazione dello Spazio, che doveva rimanere uno spazio neutrale a disposizione di tutte le nazioni, fece però sospendere le successive prove». Al di là delle buone intenzioni di facciata, queste intenzioni “pacifiche” erano legate al supersegreto programma “Corona” per i “satelliti-spia”. Eisenhower voleva che lo spazio orbitale venisse considerato da tutte le nazioni, come poi effettivamente fu, qualcosa di simile alle “acque internazionali”, in modo che ogni potenza potesse collocare i propri satelliti indipendentemente dalla sovranità politica dei territori sorvolati. La cosa non era ancora del tutto chiara alla fine degli anni Cinquanta, e si poteva ancora pensare che le quote orbitali non fossero altro che il prolungamento del proprio spazio aereo. La stessa fonte prima citata riporta che Chruščëv fece dichiarazioni in tal senso, minacciando gli Stati Uniti di considerare i satelliti da ricognizione come una violazione dello spazio aereo sovietico; ma poi alla fine entrambe le due superpotenze tacitamente si accordarono nel considerare le quote orbitali come internazionali, poiché questo faceva comodo a entrambe.
Questo per inciso fu anche il reale motivo per cui Eisenhower appoggiò nel 1957 il programma “Vanguard” della marina al posto del “Project Orbiter” dell’esercito, in quanto il primo era considerato più “civile” e perciò meno appariscente. Ciò tolse agli Stati Uniti il primato del primo satellite artificiale e scatenò la nota ondata di paranoia, che cercò tutte le spiegazioni possibili e immaginabili senza poter sapere il reale motivo del “sorpasso” sovietico. Anzi, al di là delle dichiarazioni pubbliche, probabilmente Eisenhower in fondo era contento che fossero stati gli stessi sovietici a togliergli le castagne dal fuoco. Il presidente, che per la comune storiografia avrebbe sottovalutato le potenzialità e i rischi dello spazio extra-atmosferico, in verità aveva una visione molto chiara e concreta dell’argomento, ma dire come realmente stavano le cose avrebbe comportato rivelare programmi altamente classificati. Perciò il presidente, oltretutto alla fine del suo secondo mandato e di conseguenza non più eleggibile, preferì fare il finto tonto e accollarsi colpe che in verità assolutamente non aveva.
Perciò Eisenhower approvò alcuni progetti ASAT per testarne la fattibilità – in modo particolare il Bold Orion e il progetto SAINT per un intercettore orbitale – ma non volle, resistendo alle pressioni delle forze armate e in particolare dell’USAF, sviluppare armi antisatellite operative. Insomma, un programma di armi antisatellite, destinate evidentemente soprattutto ad abbattere i satelliti da ricognizione sovietici, avrebbe potuto far irrigidire la posizione sovietica a riguardo: in fondo, cancellare il Bold Orion poté essere forse un modo per dire «io non abbatto i tuoi e tu non abbatti i miei».
Date/Time(GMT) |
Rocket |
Launchsite |
Outcome |
Remarks |
1958-05-26 |
Single-stage |
CapeCanaveral |
Success |
Apogee 8 km (5.0 mi) |
1958-06-27 |
Single-stage |
CapeCanaveral |
Failure |
Apogee 12 km (7.5 mi) |
1958-07-18 |
Single-stage |
CapeCanaveral |
Success |
Apogee 100 km (62 mi) |
1958-09-25 |
Single-stage |
CapeCanaveral |
Success |
Apogee 100 km (62 mi) |
1958-10-10 |
Single-stage |
CapeCanaveral |
Success |
Apogee 100 km (62 mi) |
1958-11-17 |
Single-stage |
CapeCanaveral |
Success |
Apogee100 km (62 mi) |
1958-12-08 |
Two-stage |
CapeCanaveral |
Success |
Apogee 200 km (120 mi) |
1958-12-16 |
Two-stage |
CapeCanaveral |
Success |
Apogee 200 km (120 mi) |
1959-04-04 |
Two-stage |
AMR DZ |
Success |
Apogee 200 km (120 mi) |
1959-06-08 |
Single-stage |
AMR DZ |
Success |
Apogee 100 km (62 mi) |
1959-06-19 |
Single-stage |
Cape Canaveral |
Success |
Apogee 100 km (62 mi) |
1959-10-13 |
Two-stage |
AMR DZ |
Success |
Apogee 200 km (120 mi) |
AMR DZ: Atlantic Missile Range – Drop Zone
Lockheed WS-199C “High Virgo”
La seconda implementazione del WS-199 è stata il WS-199C “High Virgo”, che aveva, come il Bold Orion, lo scopo di testare le tecnologie per un ALBM. Nella primavera del 1958 la Convair e la Lockheed organizzarono una joint venture per proporre all’USAF, nell’ambito del Weapon System 199, lo sviluppo di un ALBM. Questo era il risultato finale di un programma preliminare iniziato dalla Convair alla fine del 1957 per verificare la possibilità di armare il B-58 con missili balistici aviolanciati. La Lockheed si aggiudicò quindi lo sviluppo del missile, mentre la Convair (General Dynamics) avrebbe approntato l’aereo vettore, segnatamente l’allora nuovo e quasi fantascientifico, per l’epoca, B-58 Hustler.

Anche il WS-199C, per risparmiare tempo, fu progettato sfruttando materiali già esistenti, segnatamente il drone-bersaglio Lockheed Q-5 Kingfisher, il razzo sperimentale Lockheed X-17, il missile tattico MGM-29 Sergeant sviluppato dal JPL e anche componenti del nuovissimo SLBM UGM-27 Polaris anch’esso della Lockheed. Il motore a razzo era un Thiokol TX-20 a propellente solido, simile a quello del Lockheed X-17, ma in realtà utilizzatissimo in quegli anni; il suo uso più noto è certamente quello negli stadi superiori del primo vettore orbitale americano, il Chrysler Juno I. Il TX-20 dell’High Virgo aveva una spinta nominale di ±122 kN per un tempo di combustione di 29 secondi.
Dal punto di vista dell’architettura, l’High Virgo era un missile monostadio, con un progetto molto semplice per la fusoliera, assemblata a partire da una struttura e un rivestimento in alluminio. Fu utilizzata un’ogiva conica, dietro alla quale furono posti i sistemi di controllo in un compartimento cilindrico. Sotto il motore si trovavano le parti centrali e di coda della fusoliera che avevano un diametro maggiore. Il missile aveva un impennaggio di coda cruciforme per il controllo aerodinamico della traiettoria, montato attorno al rivestimento dell’ugello del motore a razzo. Le quattro alette dell’impennaggio erano dotate di attuatori idraulici che registravano le informazioni sulla direzione delle forze aerodinamiche che agivano sul missile, informazioni che erano poi inserite nel sistema di guida. Il razzo assemblato aveva una lunghezza di 9,25 m, con un diametro massimo di 79 cm. La massa al lancio era di 5,4 t. La traiettoria di volo balistico faceva raggiungere al missile un numero di Mach fino a 6 e una gittata calcolata di circa 300 km.
La piattaforma inerziale era installata dietro all’unità di controllo e telemetria, la quale era a sua volta installata dietro lo spazio che sarebbe stato occupato dalla testata bellica, se il missile fosse stato operativo, e che perciò nei voli di test era stato riempito con della zavorra. L’ogiva conica del missile era di materiale plastico rinforzato e proteggeva il veicolo di rientro della testata bellica, che era del tipo ad alto assorbimento di calore.
Essendo un missile balistico, il WS-199C poteva essere equipaggiato con un sistema di guida relativamente semplice, nella fattispecie un sistema di guida inerziale della Autonetics preso dall’AGM-28 Hound Dog (molto probabilmente, secondo una fonte, N5G e “Verdans”). Sfortunatamente, il ritardo nelle forniture da parte della Autonetics costrinsero a programmare il pilota automatico con profili di volo predefiniti.
Il pilota automatico e il sistema di navigazione inerziale furono installati nel compartimento della strumentazione, assieme a sistemi per ricevere dati in telemetria dall’aereo vettore in volo. Questi sistemi erano stati semplificati per essere utilizzati solo durante un volo preventivamente programmato. Occorreva rilevare la posizione del razzo nello spazio e sviluppare comandi per gli stabilizzatori aerodinamici nella coda. Le dimensioni dell’ogiva permettevano al missile di essere equipaggiato con una testata militare monoblocco convenzionale o nucleare. Comunque, l’uso di munizioni “live” non era pianificato in origine, e fino alla fine del programma fu utilizzata della zavorra.
Come parte del progetto “High Virgo”, la Convair aveva sviluppato il progetto “Zenith”, che consisteva nella costruzione di uno speciale pilone per il trasporto e il lancio del missile. Questo nuovo dispositivo avrebbe sfruttato gli agganci già esistenti nella parte inferiore per il trasporto del grosso “pod” che negli aerei operativi era destinato al carburante per l’avvicinamento all’obiettivo e al trasporto della testata nucleare; questo faceva sì che non fosse richiesta alcuna modifica all’aeromobile. Il nuovo pilone era caratterizzato da un elevato allungamento ed era posizionato sotto la parte inferiore della fusoliera. Il bordo superiore era liscio, mentre quello inferiore aveva una forma spezzata che corrispondeva ai contorni del razzo. Il corpo del pilone aveva la forma di una carenatura in modo da sostenere il flusso d’aria ad alta velocità. All’interno del pilone c’erano agganci per sostenere il razzo e cablaggi elettrici per la comunicazione tra l’avionica del razzo e quella dell’aereo.
Il B-58 scelto per il progetto High Virgo fu nientemeno che il primo prototipo XB-58 s/n 55-0660, soprannominato scherzosamente “Old Grandpappy”, che aveva fatto il suo “maiden flight” l’11 novembre 1956 dalla Carswell AFB, sede anche degli stabilimenti della Convair di Forth Worth (per inciso, alcune fonti riportano una sigla diversa, YB/RB-58 o semplicemente YB-58, che secondo logica dovrebbe essere stata assegnata agli esemplari di preserie). È impossibile non notare nelle foto l’inconfondibile livrea metallica, con parti bianche e rosse, del primo prototipo.

Il profilo di volo era il seguente: dopo essere stato portato ad alta quota dal B-58 a velocità supersonica, il razzo veniva sganciato e compiva un tratto in caduta libera, allo scopo di portarsi a distanza di sicurezza dall’aereo. Quindi veniva acceso il razzo Sergeant e il missile iniziava la sua traiettoria balistica. Un secondo B-58 riceveva in telemetria i dati di volo del missile.
Il 6 agosto 1958 il primo missile High Virgo fu inviato alla Eglin AFB, in Florida, e preparato per il suo primo volo di test; il B-58 55-660 arrivò alla base l’11 agosto. I dieci giorni successivi furono utilizzati per test a terra, soprattutto riguardanti l’interfaccia tra il missile e l’aereo. Per verificare la compatibilità aerodinamica in volo, il 21 agosto fu compiuto un volo di prova con il missile agganciato al B-58, senza che venisse rilasciato. Non avendo riscontrato particolari problemi, il 5 settembre 1958 si ebbe il primo volo del missile, con l’XB-58 che sganciò l’High Virgo a Mach 1 e ±12.000 metri (40,500 ft), sopra il Cape Canaveral Test Range. Il missile si separò correttamente dal suo pilone ventrale. Dopo una caduta libera di sei secondi per portare l’aereo a distanza di sicurezza, fu acceso il motore Thiokol del razzo e il missile accelerò lungo la sua traiettoria preprogrammata. Diversi secondi dopo che la fase propulsa della parabola balistica era iniziata, si ebbero problemi di controllo del missile dovuti a una serie di oscillazioni che fecero terminare il test in modo prematuro: 33 secondi dopo l’High Virgo si inabissò nell’Oceano Atlantico. Come curiosità, il missile era stato dipinto in giallo acceso con l’ogiva in nero.

Il secondo volo fu invece sostanzialmente un successo. Il secondo missile era stato inviato dalla Lockheed alla Convair di Forth Worth poco dopo il volo del primo. La Convair si fece carico dei test di pre-volo, e poi inviò il missile alla Eglin AFB dove fu dipinto in rosso vivo e caricato sul 55-660. Il 19 dicembre 1958 il 55-660 sganciò il missile a Mach 1,6 all’altitudine di ±10.600 m (35,000 ft). Il missile, dipinto in rosso vivo, raggiunse Mach 6 a ±76.000 metri (250,000 ft), concludendo la sua traiettoria in mare a ±300 km di distanza (185 miglia) dopo 280 secondi di volo.
Dopo due voli come razzo non guidato, il terzo volo del 4 giugno 1959 fu il primo con il sistema di guida inerziale della Autonetics, ed ebbe pieno successo, toccando un apogeo di ±52.000 m (169,000 ft), per un tempo totale di volo di 240 secondi.

Il quarto e ultimo lancio di un High Virgo aveva lo scopo di testare le capacità antisatellite dell’arma. A tale scopo, con un contratto separato, la Lockheed modificò il quarto High Virgo in modo da renderlo significativamente più leggero dei suoi tre predecessori; inoltre, ben 13 cineprese furono montate sull’ogiva del missile; questo rendeva il quarto missile leggermente più lungo dei precedenti. Nove di queste telecamere sarebbero state utilizzate per riprendere l’avvicinamento al satellite bersaglio, e quattro per fotografare il missile. Un sistema simile avrebbe in teoria consentito di ispezionare un eventuale satellite sovietico. Come con il Bold Orion, scopo del volo non era quindi distruggere fisicamente il satellite bersaglio, ma quello di passargli accanto a una distanza sufficiente da dimostrare che sarebbe stato danneggiato da un’eventuale esplosione nucleare.
Fu dapprima deciso che il satellite che avrebbe dovuto fare da cavia sarebbe stato l’Explorer 4, ma poco tempo prima del lancio ci si accorse che la conoscenza dei parametri orbitali del satellite era troppo poco accurata per tentare un’intercettazione. L’Explorer 4 fu quindi presto sostituito dall’Explorer 5, i cui parametri orbitali erano meglio conosciuti.

Ma il test ebbe comunque risultati a dir poco inconcludenti. Il 22 settembre 1959 il “King Lofus IV”, com’era stato battezzato il missile con un nome piuttosto oscuro, fu lanciato alla velocità di Mach 2 e alla quota di ±11.400 metri (37,500 ft) dal suo B-58 55-660 decollato dalla Eglin AFB.
Il missile si diresse verso l’Explorer 5, che si trovava al suo perigeo a 263 km d’altezza. Per la cronaca, l’Explorer 5 era un derivato dell’Explorer 1, il primo satellite americano, mentre l’Explorer 6 intercettato dal Bold Orion era un satellite molto più grosso e del tutto diverso (infatti aveva una massa di 64,4 kg contro i 17,43 dell’Explorer 5). Tutto proseguì bene fino a circa 30 secondi dopo il lancio, ma a quel punto tutte le comunicazioni con il missile furono perse. Dalle rilevazioni radar a terra si riuscì solo a capire che il missile aveva iniziato correttamente la sua traiettoria balistica. Il volo non poté essere tracciato con la telemetria nella sua fase finale, e non fu perciò possibile identificare il luogo dell’impatto con l’Oceano Atlantico. Ogni tentativo di recuperare le telecamere da parte di una squadra di recupero della Cook Research fallì, e non fu trovato nessun relitto. Non si riuscì a capire perciò se il lancio avesse avuto successo o meno. Per inciso, la Cook Research Laboratories era un’azienda di R&D che aveva tra le sue mansioni quella di recuperare la strumentazione dei razzi utilizzati nei test missilistici sull’Eastern Range.
Tra il 1958 e il 1960 la possibilità di utilizzare il B-58 come piattaforma per ALBM ebbe un certo credito, e nel 1960 fu pure considerato addirittura l’impiego di missili aria-aria. Come piattaforma per ALBM, il bombardiere avrebbe avuto un raggio d’azione sostanzialmente superiore; in effetti, sostituire l’ingombrante “pod”, che fungeva sia da serbatoio ausiliario che da contenitore per l’arma nucleare a caduta libera, con un ALBM era una soluzione più che logica. La Lockheed fu sollecita nello studiare missili lanciabili dallo Hustler, utilizzando parti di ordigni già esistenti come il Sergeant e il Polaris. Questi progetti, uno dei quali era adibito a ricognitore non pilotato, erano caratterizzati da uno snello airframe lungo circa 9 metri per un peso di ±5.500 kg, con la propulsione assicurata da un motore a razzo da ±220 kN (50,000 lbs).
Da citare a proposito anche il “Project Town Hall” del 1962, che prevedeva l’aggancio a un B-58 di un missile Minuteman modificato in posizione ventrale. Il Minuteman avrebbe avuto come payload un satellite da ricognizione fotografica (con capsula per il rientro in atmosfera del film), oppure un sistema antisatellite.
Date/Time (GMT) |
Launch site |
Outcome |
Remarks |
---|---|---|---|
1958-09-05 | AMR DZ |
Failure |
Apogee 13 km (8.1 mi) |
1958-12-19 | AMR DZ |
Success |
Apogee 76 km (47 mi) |
1959-06-04 | AMR DZ |
Success |
Apogee 51 km (32 mi) |
1959-09-22 | AMR DZ | Inconclusive | Apogee 12 km (7.5 mi) |
AMR DZ: Atlantic Missile Range – Drop Zone (anche conosciuto come Eastern Range)
ALBM Photo Gallery





BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA
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